Questa pandemia ci ha portato a modificare inevitabilmente il nostro modo di approcciarci all’ “altro” e al mondo; da subito hanno parlato di distanziamento sociale, forse se avessero utilizzato un temine diverso, tipo distanziamento fisico avremmo evitato di considerare qualsiasi altra persona come “l’appestato di turno”. 

Ciò ha fatto sì che il sentimento di fiducia verso l’altro sia quasi completamento scomparso; pensiamo al semplice gesto di educazione che ci è stato insegnano fin da piccoli nel dare la mano per presentarci, che è stato subito abolito e sostituito dalla “gomitata”. 

Siamo stati chiusi in casa, magari da soli ma sempre e comunque in perenne contatto: lezioni on line, riunioni di lavoro, lauree discusse dalla stanza della propria casa, chat e video-chiamate con gli amici, sperimentando forme di interazione per alcuni magari sconosciute, per altri meno. 

Se da un lato queste modalità ci hanno permesso di comunicare e mantenere le relazioni interpersonali, dall’altra ci allontanano dal nostro sentire e in parte bloccano la spontaneità e l’immediatezza dello scambio comunicativo. Tolgono quella parte empatica che solo il potersi vedere e vivere dal vivo ci fornisce. Lo schermo del computer è stata una difesa enorme in quanto l’aspetto corporeo dell’impatto con l’altro viene negato.

Sicuramente queste modalità ci hanno agevolato in molte occasioni e alcune strategie rimarranno immutate, ma credo che a tutti manchi la possibilità di prendere un caffè al bar con il collega, uscire per la pausa sigaretta, accordarsi su dove fare il pranzo di lavoro, uscire di casa e correre per riuscire a timbrare in tempo o aprire il proprio negozio, ufficio o studio… abitudini che si spera di poter ritrovare nel futuro prossimo.